B100
Amplificatore
per chitarra e basso
75
W per un amplificatore per basso oggi fanno quasi ridere: i miei amici
bassisti viaggiano con amplificatori (a stato solido) da almeno 500 W,
non è infrequente trovare un due canali da 1000 W per canale.
Quindi un valvolare così poco
potente è abbastanza
anacronistico; ma io continuo a preferire il suono delle valvole (nel
caso degli amplificatori per strumenti musicali proprio per il tipo di
distorsione che producono), e per me, cioè per l'uso che ne
faccio io, 75 W valvolari sono più che sufficienti.

Dopo aver realizzato con soddisfazione il Mojave e poi il
Ténéré ho deciso di dedicarmi ad un amplificatore
di stazza media, e con una discreta flessibilità.
Devo ammettere che è stato un po' anche un esercizio accademico,
onestamente potrebbe anche essere che tutta quella flessibilità
sia inutile, ma tanto per cambiare volevo fare una cosa diversa dalle
precedenti.
La genesi del progetto è stata piuttosto lunga, perché ho impiegato
parecchio
tempo a definire gli obiettivi, cioè le caratteristiche e le
prestazioni che avrei voluto ottenere in relazione ai mezzi che
immaginavo di impiegare.
Stabiliti alla fine gli obiettivi:
per lo stadio di potenza:
potenza attorno ai 100 W (questa era l'idea originale, poi vedremo
perché sono arrivato a 75; in ogni caso 75 W sono solo 1,2 dB
circa meno di 100 W).
Impedenza di uscita bassa: vedremo poi che cosa significa “bassa”,
trattandosi di un valvolare.
uscite a 4 e 8 ohm
per il preamplificatore:
ingresso attivo e passivo (anche se credo che il passivo in
realtà non lo userò mai, ma dato che non costa
molto...) sensibilità nominale -
20 dBV (100 mV RMS)
controlli di livello: guadagno al primo stadio, Master all'uscita
controlli di tono classici (classici per un amplificatore per basso o
chitarra, quindi tipo Marshall), a tre bande, ma con frequenze di
intervento variabili
nessun bass boost o treble boost, che trovo assolutamente inutili, il
bass boost può essere anche dannoso, il controllo di tono
fornisce già un eccesso di bassi se posto al massimo.
uscite:
principale, di livello elevato, circa 15 dBV nominali
DI bilanciata, classico connettore XLR, circa 6 dBV nominali
linea sbilanciata, a circa 0 dBV nominali
Linea e DI con selezione pre e post controlli di tono, e con controllo
di livello.
tuner, - 10 dBV nominali
FX Loop con uscita a bassa impedenza ed ingresso ad alta impedenza,
entrambi a circa 0 dBV nominali, prima dei controlli di tono.
A mio parere l'FX Loop dopo i controlli di tono serve solo se nell'FX
Loop mettete esclusivamente un equalizzatore parametrico, se mettete
qualsiasi altro tipo di effetto è preferibile controllare il
timbro finale con i controlli di tono.
Uscite linea e DI e FX Loop a 0 dBV sono la scelta più standard,
visto che servono a collegarsi a Sistemi PA o consolle di registrazione.
Ovviamente fra gli obiettivi c'è anche il costo, che deve essere
ragionevole, nel senso che le caratteristiche dei componenti debbono
essere in linea con la funzione dell'oggetto: per fare un esempio,
essendo un amplificatore per basso e chitarra e non un HiFi, e di
potenza non elevatissima, non ha senso usare un trasformatore di uscita
come quello che metterei su un McIntosh Mc225.
Un altro obiettivo è anche la scalabilità, cioè
poter usare lo stesso schema e lo stesso layout per amplificatori di
potenza multipla, modificando il meno possibile, anche dello chassis.
Ciò significa che sia lo schema elettrico del finale sia il layout del
montaggio debbono essere pensati accuratamente.
Quale
schema?
In linea di massima schemi semplici e collaudati, senza inventare a
tutti i costi l'acqua calda, che in un ampli per chitarra o basso che
vuole essere “classico” non serve, è già
stata inventata da qualcun altro.
Ovviamente faccio tesoro dell'esperienza fatta su altri sistemi,
impostando soluzioni diverse solo dove hanno uno scopo chiaro e
definito, non cerco fantasie solo per il gusto di cambiare.
Squadra che vince non si cambia.
Il
preamplificatore.
Gli obiettivi sono quelli tipici di un pre che possa essere,
indipendentemente dal finale, in grado di essere usato in studio, per
registrare.
La flessibilità serve proprio a questo, e di qui la
possibilità di commutare la DI prima e dopo i controlli di
tono, di variare la frequenza dei intervento controlli di tono e
la doppia uscita: Linea sbilanciata e DI bilanciata.
Per poter servire a questo scopo il pre deve produrre un suono
“pulito”, anche se valvolare: le elaborazioni del segnale
preferisco lasciarle a dispositivi dedicati, da inserire nell'FX Loop.
Pensare di inserire anche solo un distorsore, o un overdrive,
complicherebbe il progetto inutilmente: a questo punto perché il
distorsore e non il phaser, il wa, il fuzzer, il chorus, l'octaver
ecc? E in che ordine?
E' ovvio che si tratta di una scelta personale e come tale
assolutamente opinabile: si potrebbe inserire, a mio parere prima
dell'FX Loop, un doppio canale di amplificazione, con selezione a
pedale del Canale 1 e del Canale 2, caratterizzati da un suono
più o meno “ricco”, cioè distorto.
In terminologia chitarristica canali “clean”, “crunch”,
“overdrive”....
La mia opzione è di inserire gli effetti nel Loop Effetti,
lasciando al preamplificatore il compito della unità di
controllo.
Quindi uno schema a tre stadi di amplificazione, basati sulla
classicissima 12AX7, con le resistenze di catodo non disaccoppiate per
ottenere, grazie alla controreazione solo locale, una sostanziosa
riduzione della distorsione.
Il guadagno risultante da tre stadi di amplificazione alla fine sarà
comunque più che sufficiente.
Invece l'uscita ad inseguitore catodico sull'FX Loop serve ad avere una
impedenza bassa, per pilotare anche dispositivi che abbiano una
impedenza di ingresso non proprio elevatissima.
Attenzione, un carico da 50k va bene, un carico da 1k no, ovviamente:
è pur sempre una 12AX7; comunque mi risulta che gli effetti
anche da rack hanno impedenza di ingresso abbastanza alta.
Una serie di simulazioni con Microcap è servita a definire le
configurazioni dei vari stadi, assegnando a ciascuno il guadagno
appropriato per soddisfare gli obiettivi di progetto.
A dire il vero non serve un simulatore Spice per calcolare stadi
singoli così semplici, basta un foglio elettronico o anche
carta, matita e una calcolatrice (e una gomma; la regola aurea dei
progetti diceva, quando si utilizzavano questi strumenti oggi in
disuso, che si debbono consumare 10 gomme per ogni matita).
Il circuito completo è in Fig 02, vediamo gli stadi uno per uno.
Il primo stadio: lo stadio “Gain”
Il primo stadio ha lo scopo di portare il segnale del pick up al
livello adatto alle elaborazioni successive: loop effetti e
controlli di tono, adeguando il guadagno a strumenti con
caratteristiche diverse.
Il livello del segnale in uscita dallo strumento dipende in primis dal
fatto che lo strumento sia attivo o passivo (cioè amplificato o
non amplificato), poi per uno stumento passivo dalle caratteristiche
del pick up (single coil, humbucker, anche la marca e la struttura del
magnete e degli avvolgimenti, ovviamente influisce).
Lo stadio di guadagno deve alimentare l'FX Loop con un segnale a circa
0 dBV ( 1 V Rms ), mentre i vari strumenti producono un segnale che
varia fra 0,05 V Rms fino a 0,5 V Rms.
Quindi il primo stadio serve ad adattare i vari tipi di strumenti in
ingresso al FX Loop, che è il vero riferimento di tutto
l'amplificatore.
Il collegamento dei jack di ingresso è quello classico che
consente di ottenere una impedenza di ingresso di 1 Meg, con una
resistenza di 23 k in serie alla griglia dall'ingresso passivo, ed una
impedenza di ingresso di 100k con una riduzione del segnale di 6 dB
dall'ingresso attivo.
I due ingressi sono in alternativa l'uno all'altro, non si possono
usare per amplificare due strumenti diversi contemporaneamente, in
quanto la commutazione dell'impedenza di ingresso e della
sensibilità è attivata dall'inserimento del jack in uno o
nell'altro ingresso.
Essendo uno stadio che serve ad adattare il guadagno
dell'amplificatore allo strumento, ha un controllo di livello che
non va mai a zero.
Non è un controllo di volume, per questo c'è il Master.
All'uscita dello stadio è collegata l'uscita per l'accordatore:
è realizzata con mezzo TL082, un operazionale con ingresso a Fet
totalmente simile al TL072, in uno stadio a guadagno unitario preceduto
da un attenuatore, serve solo a disaccoppiare l'accordatore dallo
stadio di guadagno.
All'uscita del TL082 c'è un filtro passa basso a 720 Hz,
è inutile mandare all'accordatore troppe armoniche ed eventuali
rumori a frequenza elevata, l'accordatore funziona meglio con il filtro
passa basso.
La frequenza del filtro è adeguata sia per una chitarra che per un
basso.
Il secondo stadio: il Buffer
Il secondo stadio è un semplice inseguitore catodico con
bootstrap, che aumenta l'impedenza di ingresso dello stadio e ne riduce
la distorsione, per alimentare l'FX Loop.
Le resistenze da 1 Meg sui due contatti caldi dei jack servono a
scaricare eventuali cariche statiche e quindi evitare botti quando si
connette o sconnette qualche cosa.
Se si connette un jack al “Send” il segnale viene comunque
inviato allo stadio successivo, mentre l'inserimento di un jack nel
“Return” sconnette il segnale dagli stadi precedenti.
Il Return dell'FX Loop può quindi anche essere usato per entrare
nell'ampli da qualche altro dispositivo che abbia un livello di uscita
“normale”, cioè attorno a 0 dBV.
Il terzo stadio: i controlli di
tono
Il terzo stadio deve recuperare il segnale perso dai controlli di tono,
che essendo passivi si “mangiano” fra i 15 e i 20 dB.
É un normale stadio di guadagno, con bootstrap per alzare l'impedenza
di ingresso.
I controlli di tono sono del tutto normali, l'unica particolarità è che
le frequenze di intervento sono variabili.
Per ogni gamma sono previste tre frequenze, che si ottengono
aggiungendo ulteriori capacità a quelle di base.
Anche qui, i condensatori hanno il lato commutato connesso a massa da
una resistenza da 10 Meg, di valore quindi abbastanza elevato da non
influenzare la frequenza di intervento ma sufficiente a tenere il
condensatore a potenziale di massa ed evitare quindi botti quando si
aziona il commutatore.
La variazione delle frequenze di intervento non è molto netta,
lo spostamento è comunque inferiore ad una ottava: lo scopo non
è quello di sostituire un equalizzatore parametrico ma di
permettere un fine tuning del timbro e rendere l'amplificatore adatto
sia ad un basso che ad una chitarra.
Come si vede lo schema è il classico Marshall, che io preferisco
al Fender in quanto quest'ultimo azzera totalmente il segnale quando i
tre cursori siano portati tutti a zero, mentre il Marshall non azzera
mai l'uscita.
È ovviamente solo una questione di gusti personali, io
preferisco avere un solo controllo globale di volume, ma ogni altra
scelta è altrettanto valida.
Se si optasse per lo schema Fender i valori dei componenti resterebbero
gli stessi, solo il cablaggio del potenziometro dei medi sarebbe
diverso.
La caratteristica fondamentale dei controlli di tono per strumenti
musicali, sia tipo Marshall che Fender, ma anche Vox, è che, a
differenza del tipico circuito Baxandall che si usa in HiFi, ogni
potenziometro non agisce solo sulla sua gamma, ma influenza
pesantemente le gamme adiacenti, e la curva di risposta globale con i
tre potenziometri a metà corsa non
è lineare,.
Il quarto stadio: Main out
L'ultimo stadio è uno stadio di guadagno che serve ad alimentare
adeguatamente il finale, che ha una sensibilità decisamente
bassa, anche se in linea con i valvolari classici.
Anche qui bootstrap, per non caricare i controlli di tono.
Si può notare che sia nel primo stadio che nell'ultimo
c'è comunque una attenuazione globale del segnale: entrambi i
potenziometri vengono dopo una resistenza di valore elevato, c'è
una riserva notevole di guadagno che può essere sfruttata.
Si può ridurre il valore della resistenza da 470 kohm sul
potenziometro del primo stadio, nel caso abbiate uno strumento
con uscita particolarmente bassa.
Si può ridurre il valore della resistenza da 470 kohm sul
potenziometro dell'ultimo stadio, nel caso abbiate
l'abitudine di tenere il finale in saturazione spinta.
Entrambe queste resistenze hanno in parallelo un condensatore, che
serve a linearizzare la risposta: dati i valori delle resistenze e dei
potenziometri le capacità disperse causano un calo della
risposta in frequenza non irrilevante.
Le due capacità sono state determinate sperimentalmente in modo
da ottenere una risposta in frequenza lineare all'uscita Send dell'FX
Loop ed una risposta in frequenza lineare del solo stadio di
uscita, by-passando quindi i controlli di tono: la risposta in
frequenza dei controlli di tono è non lineare per definizione
(non sono controlli di tono per HiFi) con i cursori a metà
corsa, quindi non avrebbe avuto senso compensare la risposta in
frequenza includendo i controlli di tono.
È ovvio che se si cambiano i valori delle resistenze in capo ai
potenziomentri di guadagno e master, anche i valori dei condensatori
debbono essere ritoccati.
Le
uscite “da studio”: DI e Linea sbilanciata.
Le due uscite sono amplificate, con guadagno unitario, allo scopo di
isolare l'amplificatore dai dispositivi cui viene collegato:
soprattutto la DI bilanciata, che deve essere in grado di pilotare una
linea a 600 Ohm senza influire sul guadagno e sul timbro.
Sono realizzate con un TL082 e mezzo (che, in aggiunta al mezzo TL082
dell'uscita per l'accordatore fa 2 TL082, e non si spreca nulla) in uno
schema che più classico non si potrebbe.
Pescano il segnale o prima o dopo i controlli di tono mediante il
commutatore “pre – post Eq” e sono dotate di
controllo di livello (non si sa mai...).
Dopo i controlli di tono significa in realtà all'uscita
dell'ultimo stadio, per non caricare i controlli di tono; quindi il
segnale dell'ultimo stadio è attenuato in modo da allinearlo a
quello disponibile al Return dell'FX Loop.
Per alimentare la DI il segnale viene suddiviso in due, uno in fase ed
uno in controfase, per generare una uscita bilanciata, dai due
operazionali del TL082, uno in configurazione invertente ed uno in
configurazione non invertente.
La soluzione ineccepibile per una DI bilanciata richiederebbe in
realtà un trasformatore, in quanto solo un trasformatore
garantisce un segnale bilanciato sia dal punto di vista dei livelli di
segnale sui due capi, sia soprattutto e molto più importante, il
bilanciamento delle impedenze di uscita e dell'isolamento verso massa.
La linea bilanciata si usa essenzialmente per ottenere una elevata
reiezione di modo comune e quindi una bassa sensibilità ai
rumori, generati da campi elettromagnetici dispersi, anche quando la
linea è lunga.
Ma la reiezione di modo comune dipende essenzialmente dal bilanciamento
delle impedenze e dall'isolamento verso massa, ed a questo scopo un
trasformatore è praticamente insostituibile.
Per chiarezza, una DI realizzata con un buon trasformatore, che
garantisce un isolamento verso massa dei due capi dell'ordine dei 50
Meg ed ha ovviamente le impedenze di uscita sui due canali
perfettamente uguali, in quanto si tratta dei due capi dello stesso
avvolgimento, guadagna circa 20 dB di rapporto di reiezione rispetto a
questa soluzione.
Ma un buon trasformatore costa molto, ed un trasformatore da pochi
soldi fa più danni che altro.
La soluzione adottata, per quanto non sia il massimo teorico, è
comunque adeguata allo scopo, tant'è vero che viene usata dalla
maggior parte degli amplificatori più blasonati; una ragione
è senz'altro che anche il miglior pick up humbucker con 5 metri
di cavo che connettano la chitarra all'amplificatore capta comunque
più rumore di quello che capta una linea bilanciata a bassa
impedenza realizzata in questo modo.
E sono 5 euro contro 80 (che è il costo minimo di un buon
trasformatore).
Unica avvertenza: i condensatori di uscita, collegati back-to-back per
ottenere un condensatore non polarizzato, devono essere da 100 V, onde
evitare che il collegamento ad una linea in cui la phantom power sia
stata inavvertitamente lasciata “on” crei danni in breve
tempo.
Amplificatore
di potenza
Al di là del controllo dei toni con frequenze di intervento
variabili, che per altro non sono certo una mia invenzione: basta
pensare al Marshall VBA400 o all'Ampeg SVT CL (solo sui medi, in questo
caso) il preamplificatore non ha nulla di particolare dal punto di
vista progettuale.
Sia la struttura dei singoli stadi sia la cascata degli stadi stessi,
una volta accettata la “filosofia” del suono pulito a tutti
i costi, sono del tutto tradizionali e privi di originalità.
Un po' diverso è il finale, non tanto per la topologia in se,
che è a dire il vero del tutto tradizionale, quanto per il
percorso logico che mi ha portato ad adottare quella soluzione e non
quella più “normale”.
Tutto nasce dalla constatazione che gli amplificatori a valvole sono
“particular” (in inglese letteralmente
“pignoli” e rompi...) in quanto ad accoppiamenti: suonano
bene con alcuni altoparlanti e male con altri.
Tutto ciò vale particolarmente nel caso di amplificatori per basso,
ovviamente.
Nel “giro” dei bassisti tutti sanno che l'Ampeg SVT CL, il
mitico valvolare da 300 W (è un finale un po' particolare: o lo
ami o lo odi) “deve” essere accoppiato con la Ampeg
SVT-810E o la SVT-810AV o la SVT-410HE: con queste casse
dà il massimo di sé, e a loro volta quelle casse danno
con l'SVT CL il massimo delle loro possibilità.
Cosa hanno di speciale quelle casse? la scheda tecnica della SVT-810E
dice testualmente: “The Infinite Baffle design of these
sealed enclosures ...”.
Notare la precisione: Infinite Baffle, non sospensione pneumatica, come
testimoniano le dimensioni di questa cassa, affettuosamente
soprannominata “il frigorifero”: cm 66 x 121 x 40, per 70
kg.
Avevo già studiato la correlazione fra l'impedenza di uscita di
un ampli e le caratteristiche della cassa cui è collegato sia
dal punto di vista teorico
che pratico: questo amplificatore è
anche un ulteriore "esperimento" in tal senso.
L'argomento è ben lungi dall'essere concluso, tutt'altro, e
questo è un altro mattoncino; che ovviamente non dice la parola
fine ma apre la strada ad altre elucubrazioni (che, per uno
sperimentatore, significa analisi teorica, progetto, misure, confronto
con gli obiettivi, ampliamento dell'analisi ad altre direzioni e via
ricominciando).
Tutto questo lungo sproloquio per giustificare una breve frase
nell'introduzione:
“Impedenza di uscita bassa: vedremo poi che cosa significa “bassa”,
trattandosi di un valvolare”.
In realtà il problema non sta nell'impedenza bassa in sè,
ma nel perché essa sia uno degli obiettivi primari.
La quale cosa, alla luce dell' analisi teorica e della realizzazione
pratica, dovrebbe essere chiara.
Aggiungo ora che lo schema di principio avrebbe dovuto essere in ogni
caso quello basilare, costituito da un Long Tail Splitter seguito da un
Push Pull di pentodi e una modesta controreazione globale, topologia
direi quasi inflazionata, che non è praticamente utilizzabile in
HiFi, ma ha un suono caratteristico, e se è utilizzata con
varianti minimali nel 90% degli amplificatori valvolari per strumenti,
quando topologie diverse sono comunque state inventate più di
una vita fa (la mia intera), qualche ragione, diversa dalla mancanza di
fantasia, ci deve pur essere.
Criteri di progetto e scelte
tecniche
Il progetto di un finale, anche quando la topologia generale sia stata
sostanzialmente definita, non è così immediato come
quello di uno stadio di amplificazione con catodo a massa.
Le scelte da fare sono comunque un certo numero, e non sono
indipendenti, quindi andiamo con ordine.
Impedenza
di uscita “bassa”
Con uno schema di questo genere, in condizioni standard si ottiene una
impedenza di uscita valutabile fra i 15 e i 20 Ohm: è un calcolo
semplice, qualsiasi pentodo di potenza ha una resistenza di placca fra
i 15 kOhm e i 22 kOhm (6550, KT88, EL34, 6L6) che, con l'interposizione
del trasformatore di uscita con un rapporto di trasformazione attorno a
25 (da placca a placca) dà esattamente quel valore (ovviamente non c'è
solo il
trasformatore di uscita, il dato finale dipende anche dalla
polarizzazione, dalla resistenza di uscita dell'alimentatore ecc., ma
è tanto per intenderci sugli ordini di grandezza, l'ottavo
decimale dopo la virgola lo lascio ai precisini: in altre parole mi
interessa di più avere ragione con ragionevole approssimazione
che sbagliare con precisione assoluta).
E' un risultato che non mi va bene, con una impedenza di quel genere ci
sono veramente troppi vincoli di accoppiamento, bisogna fare qualche
cosa di meglio.
Con questa topologia di base il “qualche cosa di meglio”
che si può fare è deviare su una configurazione
ultralineare: il pentodo assume un funzionamento che è una via
di mezzo fra il pentodo ed il triodo, quindi la resistenza di placca si
abbassa drasticamente (quanto “drasticamente” lo vedremo
quando passeremo a fare qualche calcolo, per ora accontentiamoci).
A questo risultato ero giunto ai tempi delle “affinità
elettive”, è ovvio che non l'ho scoperto io che l'UL ha
una impedenza di uscita più bassa del P-P normale.
A spanne, si dovrebbe arrivare attorno ai 4 ohm, un valore molto
più gestibile, di meno con questa tecnologia credo sia
impossibile.
Quali
Valvole?
Nel momento in cui si sceglie un Ultralineare la scelta delle valvole
finali è quasi obbligata, se si vuole ottenere un centinaio di
Watt senza mettere in parallelo tante valvole: lo stadio deve essere
alimentato
con almeno 560 V e questa è la tensione che deve
essere sopportabile dalla griglia schermo.
Quindi la scelta cade senza patemi
sulla KT88; nemmeno la 6550 va bene, con i suoi 460 V max di griglia
schermo.
Il foglio tecnico della KT88, in UL al
40%, alimentata a 560 V, con un
carico di 4500 Ohm placca – placca garantisce 100 W, quindi ci
siamo.
Per il Long Tail splitter, con le KT88 che in configurazione UL hanno
un guadagno piuttosto basso, bisogna andare sulla 12AX7, che ha un mu
piuttosto elevato: teniamo conto che fra KT88 e trasformatore di uscita
tutto il guadagno di tensione in pratica è dato dallo sfasatore.
Trasformatore
di Uscita
Le caratteristiche sono chiare: 4500 Ohm placca-placca, ultralineare al
40%, 100 W, uscite a 4 e 8 ohm.
Non c'è molta scelta, ci sarebbe lo Hammond 1650R, fra le parti
di ricambio non trovo nulla di adatto e, benché come è
noto abbia la massima stima dei prodotti Sowter, che ho abbondantemente
utilizzato, sono decisamente troppo costosi per questo progetto.
Alla fine, memore dell'ottimo funzionamento del trasformatore usato sul
Tutor, decido di farmi realizzare un TU con quelle caratteristiche da
Novarria.
Quando mi arriva (circa 15 giorni dopo, un tempo decisamente
ragionevole), resto stupito: l'oggetto pesa 4,6 kg, le dimensioni sono
adeguate, la realizzazione sembra buona, il costo più che onesto.
Devo dire che TU di quella stazza si trovavano comunemente in
amplificatori (per strumenti, s'intende) dati per 200W: staremo a
vedere.
Su, partiam: con una simulazione
Già, prima di mettere mano al saldatore bisogna vedere come si
comporterà, cosa meglio di una simulazione con MicroCap8, dato
che calcolare a mano un P-P con controreazione è un esercizio
che oggi lascio volentieri ai giovani (ammesso che ne abbiano voglia,
l'importante è usare il simulatore quando si hanno già le
idee abbastanza chiare sul funzionamento generale del circuito e su
quello che si vuole ottenere; discorso ormai stantio, ma non mi stanco
di ripeterlo).
Parto con una simulazione basata sul circuito di Fig. 04, che NON
sarà lo schema definitivo, per le ragioni che saranno chiare fra
poco, ma è appunto una simulazione che deve dirmi se la cosa
“sta in piedi” oppure sono del tutto fuori strada.
Non dispongo delle caratteristiche tecniche del trasformatore di
uscita, intendo induttanza, induttanza dispersa e capacità
parassite, non ho alcuna intenzione di misurarle, assumo che la
capacità parassita sia di 1000 pf e l'induttanza dispersa tale
da dare un fattore di accoppiamento in MicroCap8 pari a 0,998.
Misuro solo la resistenza cc degli avvolgimenti, perchè è
quella che influisce di più sull'impedenza di uscita (ovviamente
una volta fissato il rapporto di trasformazione).
Anche le induttanze degli avvolgimenti sono solo stimate, e sono tali
da dare il rapporto di trasformazione nominale.
I soliti puristi stanno già inorridendo, gli vengono i capelli
dritti.
Va bene lo stesso, io non impazzisco per l'ottavo decimale, e sono
ragionevolmente sicuro che fra la simulazione ed il prodotto finito ci
sarà più differenza di quella che si aspettano i
fiduciosi ad oltranza (intendo, quelli che invece di ragionare.
simulano).
Tanto, so che la simulazione dei trasformatori con MicroCap8 è
comunque una approssimazione (forse “terno al lotto”
è eccessivo).
Come si vede anche questo schema, a parte il particolare della
configurazione Ultralineare, è perfettamente normale, ed
è anche opportuno ricordare che ad esempio gli amplificatori
Fender Bassman, nel periodo immediatamente successivo alla acquisizione
del marchio da parte di CBS, adottarono una configurazione
ultralineare; quindi anche qui nulla di nuovo sotto il sole.
Lancio la simulazione, ne eseguo alcune per tarare i punti di lavoro,
verifico che il bias a 13 mA si ottiene con circa –
80 V di griglia, bene siamo in linea con il foglio tecnico della KT88.
La resistenza da 50 ohm in serie all'alimentazione serve a simulare un
alimentatore “vero”.
Quindi via con la simulazione alla massima potenza.
Rilevo la potenza massima al primo apparire di distorsione
significativa, è una valutazione fatta
“visivamente”, non mi perdo sul punto percentuale di THD.
Prima sorpresa: la potenza massima
ottenibile è di circa 70 W.
Verifico che i punti di lavoro siano corretti, tensioni e correnti,
niente: restano 70 W.
Mi viene il dubbio che sia lo splitter che non regge, quindi eseguo una
simulazione calcolando l'uscita dello splitter: lo splitter va bene,
è in grado di fornire ben più dei 150 V p-p che mandano
in saturazione lo stadio finale.
A parte che è il solito discorso della potenza nominale su
carico resistivo di 8 Ohm, quando qualsiasi altoparlante è tutto
tranne che una resistenza.
Mi rassegno, rinvio la questione alla verifica sperimentale quando sarà
il momento e proseguo.
Banda passante: sovrabbondante rispetto alle necessità, da 30 Hz
a 30 kHz (non dimentichiamo che sono sempre in simulazione, ed il
trasformatore di uscita è molto approssimato).
Impedenza di uscita: eseguo la simulazione a tre diversi livelli di
potenza di uscita, 0,1 W, 1 W, 10 W.
Perché? è una ispirazione, non dico improvvisa
perché non sarebbe vero, è un po' che penso ai circuiti
valvolari con controreazione, e quale occasione migliore di questa per
vedere se ci sia qualche correlazione?
Che cosa ciò possa implicare esula dallo scopo di questo
progetto, però potrebbe avere in realtà una certa
importanza perché un amplificatore per strumenti opera
costantemente a potenza elevata, se non in zona prossima alla
saturazione, gli altoparlanti sono sempre molto sollecitati, i
parametri di T-S, che dipendono dalla impedenza di uscita e che usiamo
per progettare le casse in realtà sono parametri per piccoli
segnali (veramente piccoli, per non dire assolutamente irrealistici, e
non solo nel campo degli strumenti musicali) mentre a potenza elevata,
che significa escursione elevata e temperatura della Voice Coil
costantemente alta, i parametri variano considerevolmente rispetto ai
valori nominali misurati ad 1 mW.
La simulazione è eseguita esattamente come spiegato in “le
affinità elettive”, considerando la tensione di uscita su
8 ohm ed a 12 ohm, con tutte le altre condizioni invariate, ed
applicando la legge di Ohm.
I risultati sono i seguenti:
frequenza di simulazione 100 Hz
a 0,1 W 5,4 ohm
a 1 W 4,4 ohm
a 10 W 4,4 ohm
E' già interessante notare che non è costante ma varia in
funzione della potenza, per il resto il valore è quello che
speravo.
La simulazione, o meglio le simulazioni, sono in linea con le
aspettative, a parte la potenza massima; il dato che mi preme di
più, l'impedenza di uscita, è OK quindi decido di
procedere comunque con la realizzazione, in fin dei conti 1,5 dB in
meno non è un dramma, poi è da verificare sul campo e se
mai fossi colto da una “sindrome da sussurro” una 4x10
risolverebbe il problema dei dB mancanti rispetto alla 1x12.
Lo schema usato per la simulazione, però, non è quello
giusto da realizzare; io so a priori che per vari aspetti MicroCap8
è ottimista, in quanto i modelli matematici utilizzati per
simulare le valvole sono basati su alcune semplificazioni ed
approssimazioni che non sono in grado di rendere esattamente il
funzionamento sul campo, e inoltre nei modelli di simulazione non si
mettono tutti i particolari ed i circuiti di servizio che rendono lo
schema effettivamente funzionante.
Il finale di potenza
Lo schema
definitivo è quello a fianco: vediamo che cosa c'è in più e a cosa
serve.
Il primo “addendum” è
il circuito di calibrazione
del bias delle valvole finali: ovviamente nella simulazione è
inutile e viene sostituito da una sorgente di tensione continua, mentre
nel circuito reale è indispensabile, per compensare le
tolleranze di produzione delle valvole.
E' necessario poter variare individualmente la polarizzazione sui due
rami del push-pull, quindi sono necessari due partitori con un trimmer
ciascuno, uno per ogni griglia.
La tensione deve poter essere variata fra -85 e – 70 V.
Le resistenze da 470k fra i cursori dei
trimmer e i -110V sono una
garanzia contro i malfunzionamenti dei trimmer: è vero che non
sono potenziometri e che quindi una volta trovata la polarizzazione
giusta non si toccano più, ma i contatti striscianti sono
comunque un punto debole di tutti i circuiti, e un contatto non
perfetto porterebbe la griglia della KT88 a 0 V, con conseguente
“brasatura” in tempi rapidi sia della KT88 che del
trasformatore di uscita.
Con le due resistenze, nel caso di malfunzionamento del trimmer la
tensione di polarizzazione andrebbe a -110 V: la distorsione di
incrocio salirebbe, il push-pull non sarebbe più bilanciato, ma
non si brucia nulla e si porta a termine la serata.
La seconda
modifica è invece legata a quello che io chiamo
l'ottimismo di Microcap (in realtà dei modelli Spice, che per
semplificare ed essere maneggevoli ogni tanto qualche cosa perdono).
Dipende dalle caratteristiche tecniche
dalla KT88 (e anche della 6550, del tutto simile alla KT88 sotto questo
aspetto).
Le specifiche tecniche della KT88 dicono che con polarizzazione fissa e
potenza dissipata totale placca + griglia schermo maggiore di 35 W la
resistenza di polarizzazione della griglia deve essere di valore
inferiore a 100k.
Le due condizioni sono entrambe vere per questo amplificatore, la prima
per scelta tecnica e la seconda perché un amplificatore per
strumenti è naturalmente destinato a lavorare sempre al massimo
(e se si vuole un suono speciale, anche oltre) quindi le resistenze di
polarizzazione sono da 100k.
Inoltre la KT88 per dare il meglio di sé richiede un pilotaggio
energico, la corrente di griglia diventa sensibile anche per valori di
tensione di griglia negativi ma vicini allo zero.
Il modello della KT88 in MicroCap non tiene assolutamente conto di
questi fattori: la simulazione è fatta con la resistenza di
griglia a 270k, ma anche se fosse da 1 Meg la simulazione darebbe
esattamente lo stesso risultato, a parte il maggior guadagno risultante
dal minor carico dello splitter.
Se dovessi basarmi solo sul risultato della simulazione adotterei le
resistenze da 1 Meg, ma so bene che è meglio rispettare le
specifiche tecniche: se i progettisti si sono dati la pena di quel
dettaglio sui valori delle resistenze di griglia in condizioni diverse
(con polarizzazione di catodo e polarizzazione fissa, con potenza
placca + griglia schermo maggiore e minore di 35W) c'è
sicuramente una ragione tecnica ben precisa.
A proposito di simulazioni.
Voglio anche precisare, l'ho già scritto in un vecchio articolo
su Microcap (Costruire HiFi n° 83 e n° 87), che in realtà dato che il
modello spice della KT88 che ho io fa schifo (il termine non
è molto elegante ma è il più adatto a descriverne
il funzionamento), uso al suo posto quello della 6550: “ma come,
dirà il Sig. Pignolini, è una approssimazione
inaccettabile”; bene, le due valvole hanno parametri generali
molto simili, la KT88 sopporta tensioni di placca e soprattutto di
griglia schermo più elevate, esattamente quelle necessarie per
un Ultralineare, Microcap oltre che ottimista, in queste cose è
anche cieco, tant'è vero che non si accorge di nulla e simula
perfettamente, ed io mi fido ciecamente della incostanza delle
caratteristiche delle valvole dovuta alle tolleranze di produzione, per
cui sono abbastanza sicuro che è più probabile trovare
nel mucchio una 6550 più simile ad una KT88 che ad un'altra 6550.
Si tratta appunto di una simulazione, basata su modelli in cui le
approssimazioni e le semplificazioni si sprecano, la simulazione si
esegue per definire le caratteristiche di massima, per controllare
l'impostazione generale, il progetto tecnico finale è un'altra
cosa.
Ultima considerazione: i modelli spice non hanno al loro interno
né le tensioni massime né le correnti massime né
le potenze massime, quindi le simulazioni non possono tenerne conto;
Microcap, su richiesta dell'utente, fornisce le tensioni su ogni nodo,
le correnti che passano per ogni dispositivo, la potenza dissipata da
ogni componente ed è solo responsabilità dell'utente
controllare che i limiti tecnici non vengano superati.
C'è anche da dire che il long tail splitter con la 12AX7
è sicuramente dotato del guadagno elevato che serve, ma il
pilotaggio che si può ottenere da uno stadio fatto in questo
modo è tutto tranne che energico.
Il long tail splitter realizzato con la 12AX7 è molto sensibile
al carico, dato che la resistenza di carico sulle placche è
dell'ordine dei 100K e la rp dell'ordine dei 70k, e farlo seguire da un
carico “ostico” come la KT88 con una resistenza di
polarizzazione di 100k non darebbe il suono potente ed energico che
voglio ottenere, soprattutto sulle basse frequenze.
Quindi fra lo splitter e le KT88 c'è un cathode follower con una
12BH7, una valvola molto robusta, con una buona dissipazione e che
sopporta agevolmente tensioni elevate, che pilota le KT88 con tutta
l'energia che serve.
A proposito di cathode follower.
Non ho certo inventato io il cathode follower per pilotare le valvole
finali: tutti gli amplificatori per strumenti con sestetti, ottetti o
dozzine di pentodi di potenza ne fanno uso, in ordine alfabetico per
non scontentare nessuno e scusandomi con quelli che non cito, Ampeg
SVT-CL, 300W con 6 6550, Marshall VBA400, 400W con 8 6550, Mesa 400+,
400W con 12 6L6.
Questo amplificatore usa una sola coppia di KT88, ma a mio parere il
cathode follower è necessario comunque; inoltre fra gli
obiettivi c'era la scalabilità, quindi aggiungere una o due
coppie di KT88 è comunque possibile, adeguando solo la potenza
del Trasformatore di uscita e ovviamente dell'alimentazione.
E anche con una sola coppia di KT88 non è una mia invenzione:
risale ad uno schema di fine anni 60, per un amplificatore HiFi da 60W
della HeatKit.
Terzo
"addendum": fra la griglia ed il catodo della 12BH7 c'è un
diodo, un umile
1N4007, che in condizioni normali è polarizzato inversamente e
quindi è come se non ci fosse.
La sua funzione è proteggere la 12BH7 al momento
dell'accensione, quando i filamenti sono freddi e le valvole non
conducono, mentre l'alimentazione è già attiva quindi la
12BH7, che è connessa direttamente alle placche della 12AX7, si
troverebbe con 350 V sulla griglia e 0 V sul catodo per una manciata di
secondi.
Il diodo in queste condizioni è polarizzato direttamente, quindi
fra la griglia ed il catodo c'è meno di un volt e si evita agli
elettrodi uno shock piuttosto oneroso.
Quando i filamenti saranno caldi le valvole entrano in conduzione, le
condizioni tornano “normali”, il diodo
“sparisce” dopo aver eseguito il suo compito ed alle
valvole è assicurata lunga vita.
Su questo circuito non c'è altro da dire: è un normale
ultralineare, ho già spiegato le ragioni di questa scelta e
tecnicamente non è nulla di particolarmente speciale.
Sugli accorgimenti da adottare in fase di collaudo mi dilungherò nel
paragrafo apposito.
L'alimentatore
L'alimentatore
è fianco: assolutamente normale, con
secondari separati per l'alta tensione delle valvole finali, dello
stadio driver e del preamplificatore, e del circuito del bias.
L'alimentazione del driver e del preamplificatore è filtrata con
una induttanza, per ridurre il ronzio dell'alimentazione; le finali,
essendo in push-pull, non abbisognano di alcuna induttanza.
C'è un interruttore di stand by sul secondario delle valvole
finali, d'obbligo per alimentare le valvole solo quando le tensioni
siano stabilizzate (soprattutto quella del bias) ed i filamenti siano
ben caldi.
L'alimentatore delle uscite ausiliarie è stabilizzato con due
semplici zener e 4 condensatori elettrolitici, più che
sufficienti a filtrare ottimamente l'alimentazione.
Non indicato nello schema, in serie al primario c'è un fusibile
ritardato da 2,5 A.
Gli avvolgimenti dei filamenti sono tutti con presa centrale, tutte le
prese centrali sono collegate a massa tranne quella del filamento della
12BH7, che è tenuto a circa 120V per evitare una differenza di
tensione eccessiva fra il catodo ed il filamento.
La costruzione
Ho scelto una struttura molto tradizionale, alla fine questo
amplificatore avrà una estetica “vintage”, quindi
uno chassis largo e poco profondo, inserito in un box di legno
ricoperto di “Tolex” (una fibra sintetica di uso corrente
per amplificatori e casse per strumenti) con superficie “pelle di
elefante” e paraspigoli in acciaio.
Dato il peso due maniglie laterali sono d'obbligo.
Ma il punto di partenza per la realizzazione è sempre lo studio
accurato del layout, sia perché non ostante l'ampiezza del
telaio il fondo risulta comunque molto stipato di componenti, sia
perché quando poi procedo al cablaggio e al montaggio i pezzi
debbono andare al loro posto senza doverci pensare.
Inoltre uno degli obiettivi, la scalabilità, impone di studiare
la disposizione dei componenti in modo da non dover sconvolgere la
struttura se volessi raddoppiare la potenza.
Il lavoro preliminare consiste quindi nello studiare la disposizione
dei componenti sulla carta, tenendo conto delle solite regole:
il trasformatore di
alimentazione ed il trasformatore di uscita debbono essere lontani il
più possibile l'uno dall'altro
l'induttanza di filtro deve avere il
nucleo orientato perpendicolarmente al nucleo del trasformatore di
alimentazione
si deve lasciare spazio per il
raffreddamento alle valvole finali.
Quando dico “sulla carta” nel mio caso intendo
letteralmente sulla carta: io sono datato, e mentre non ho avuto alcun
problema ad adottare i simulatori come MicroCap, quando arrivo al
progetto fisico non riesco ad abituarmi ai sistemi CAD: devo
raffigurarmi l'oggetto finale a grandezza naturale e per fare
ciò disegno la disposizione dei componenti con la matita su un
foglio di carta a grandezza naturale, usando la carta da disegno
tecnico (detta anche “carta per lucidi”), la matita e la
gomma.
Il disegno meccanico ed il layout dei componenti sulle basette vanno di
pari passo, perché debbo essere sicuro che tutti i componenti
staranno al loro posto senza problemi prima di fare un solo foro sul
telaio, anzi in realtà prima di far tagliare le lamiere del
telaio (faccio tagliare e piegare le lamiere da un artigiano, per
tagliare e piegare perfettamente i metalli è necessaria una
attrezzatura di cui non dispongo).
Il layout dei componenti elettronici sulle basette è fatto su
fogli separati, in quanto le dimensioni ed il numero di contatti delle
basette sono fissi e quindi impongono un vincolo alla progettazione.
Il layout dei componenti sulle basette è studiato sulla carta
fino a quando tutti i componenti previsti dallo schema elettrico, i
collegamenti con i connettori, con i potenziometri e con gli zoccoli
delle valvole sono definiti, poi i fogli vengono posizionati sul
disegno del telaio fino a che tutto è a posto.

Sopra vedete un esempio: il disegno del telaio con le sagome dei
“ferri” e i disegni delle basette appiccicate con lo scotch.
Una verifica “fisica” della disposizione, giusto per
sicurezza, quindi il risultato finale: il piano di
foratura, nelle immagini che seguono.


E' un metodo molto artigianale, direi
quasi “naif”, ma io mi trovo bene così.
E' evidente che l'uso di un CAD, magari tridimensionale, dà
risultati sicuramente più validi, la cosa fondamentale non
è lo strumento ma la progettazione: deve essere tutto definito a
priori, una volta tagliato il telaio e fatti i fori delle valvole, se
c'è un errore è impossibile rimediare, si butta e si
ricomincia da capo.

Sopra una ulteriore verifica fisica del
telaio, quindi:

il lavoro procede: il telaio completo
delle mascherine frontale e
posteriore, già forate e ancora con il film plastico di
protezione.
A fianco
appare chiaro che con il layout delle basette accuratamente
predisposto e posizionato sul telaio capovolto il cablaggio procede
spedito, è quasi un lavoro automatico, e se tutti i componenti
ed i collegamenti (ma proprio tutti) sono stati riportati nel disegno,
questa è la migliore garanzia contro le dimenticanze e gli
errori di cablaggio.
Con questo metodo una volta definito il
layout le basette potrebbero
essere cablate prima di montarle sul telaio, ma rimane valido il
principio che prima si progetta e poi, solo quando il progetto è
finito, si passa al montaggio.
Per quanto riguarda la sequenza: prima l'alimentatore, che io monto
sempre su basette millefori che trovo comodissime per quest'uso,
attenzione massima all'isolamento sia della parte c.a.
Si può vedere la
presa di alimentazione, con i fast-on isolati e l'isolamento –
doppio, con cavo termostringente - del portafusibili) che della
parte c.c. (sotto le basette che portano i diodi raddrizzatori ed i
condensatori è fissato un foglio isolante , che non si vede
nelle fotografie), quindi test dell'alimentatore a vuoto.
Quindi i collegamenti dei filamenti, con filo attorcigliato e fatto
scorrere lungo gli angoli del telaio e comunque il più aderente
possibile alla lamiera.

I collegamenti di massa sono a stella,
ogni stadio è collegato
individualmente al punto centrale dell'alimentazione.

Tutti gli ingressi e le uscite
ausiliari sono isolati dal telaio, in modo da evitare ground loops.
Per le uscite di potenza ho utilizzato connettori Speak-on, in quanto
hanno contatti in argento di grande superficie e sopportano correnti
fino a 50 A, mentre i normali jack hanno una superficie di contatto
irrisoria.
Il risultato finale: abbastanza
ordinato ed accessibile per eventuali manutenzioni.

La basetta delle uscite ausiliarie, che
si vede in dettaglio, è collegata
al resto del circuito con connettori a
pressione, per agevolare l'eventuale smontaggio senza dover usare il
saldatore.
La parte inferiore del telaio è chiusa
dal fondo di alluminio, per assicurare la schermatura del circuito.
Quindi una vista frontale e posteriore
dell'amplificatore finito.


Collaudo e messa a punto
Il collaudo si fa per gradi, non in un colpo solo, in quanto la messa
in tensione con le valvole montate deve essere fatto solo quando si
è sicuri che il cablaggio è esatto, e la messa in
tensione delle valvole finali deve essere fatto con cautela.
Quindi dopo ave completato il cablaggio dell'alimentatore si controlla
che tutte le tensioni siano quelle previste in tutti i punti del
circuito e che ai filamenti arrivi la tensione di alimentazione
corretta (con un trasformatore di alimentazione con tanti secondari non
è difficile invertire qualche cavo); questo primo test si esegue
ovviamnte prima di montare le valvole.
Dopo questo controllo in genere mi prendo una giornata di riposo
(mentale) e ricontrollo tutto il cablaggio il giorno dopo, a mente
fresca.
Quindi procede separatamente al
collaudo del preamplificatore e del
finale: non importa se prima l'uno e poi l'altro o viceversa, io
preferisco collaudare prima il preamplificatore, che è
più immediato e non richiede messa a punto e tarature.
Si deve controllare che il segnale arrivi dall'ingresso alla fine, che
ad ogni stadio arrivi con l'amplificazione prevista e che il
funzionamento dell'FX Loop sia corretto, cioè che l'inserimento
di un jack nel “send” interrompa il segnale, che deve
essere deviato al jack, mentre un jack inserito nel return funzioni da
input, isolando i jack di ingresso strumenti.
Lo stesso controllo sul main out e main in (uscita dal pre e ingresso
al finale).
Quindi si controlla la banda passante di ogni stadio individualmente:
il controllo individuale è importante in quanto tutti gli stadi,
tranne il controllo di tono come ho già specificato nella prima
puntata, debbono avere la risposta in frequenza lineare, mentre il
controllo di tono, che per definizione non ha risposta lineare ed
è piuttosto complesso, deve garantire che i collegamenti ai
commutatori delle frequenze siano corretti e che le frequenze di
intervento siano commutate correttamente (cioè nell'ordine
giusto, a crescere da sinistra a destra).
Il controllo della banda passante dei singoli stadi deve essere fatto
in quanto sono presenti sia nello stadio di guadagno che nell'ultimo
stadio del pre partitori si tensione con valori di resistenza molto
elevati e le capacità disperse e parassite dovute al cablaggio
non sono determinabili a priori.
Poche decine di pF di capacità parassita (che non sono certo una
capacità fuori norma dato che il potenziometro è
collegato con alcuni cm di cavo schermato) causano un decadimento
rapido della risposta oltre i 10 – 12 kHz, in quanto il
potenziometro del guadagno oppure il Master Volume sono preceduti da
una resistenza di 470 kohm, che con la capacità parassita forma
un filtro passa-basso.
Quindi il partitore deve essere “compensato” e il valore
della capacità di compensazione può essere determinato
solo sperimentalmente.
Il preamplificatore deve essere in grado di funzionare anche come pre
per registrazione, quindi la risposta di frequenza deve essere
assolutamente lineare (a parte quella del controllo di tono, che non
è lineare per progetto).
A questo punto smonto le valvole del pre e monto le valvole dello
splitter e del cathode follower: questo stadio non richiede alcuna
precauzione particolare, solo che le tensioni siano corrette; questo
controllo richiede pochi minuti e deve essere fatto con le KT88 NON
montate.
Il controllo più importante prima di montare le KT88, controllo
che può essere fatto assieme a quello delle tensioni dello
stadio driver, è che i trimmer del bias siano posizionati in
modo tale che la tensione sui piedini delle griglie delle KT88 sia a
– 85 V, cioè al minimo, affinché quando si
inseriranno le valvole finali queste siano polarizzate praticamente
all'interdizione.
Se si alimentassero le valvole finali con la tensione errata sulle
griglie la corrente salirebbe immediatamente a valori elevatissimi, e
ci sarebbe pochissimo tempo (cioè, non ci sarebbe il tempo) per
rimediare all'errore.

Questo controllo è fondamentale per la vita delle KT88 e del
trasformatore di uscita: nel mio caso al primo controllo ho rilevato
una tensione nulla sul piedino di griglia di una delle due valvole, ed
un esame accurato della basetta del bias ha rivelato la saldatura
fredda che si può ammirare qui a lato.
Quindi attenzione, in quanto una saldatura fredda è sempre in agguato,
per quanta esperienza di saldature abbiate.
Altro accorgimento, i primi test devono essere fatti con la reazione
negativa (il secondario da 8 ohm alla resistenza da 47 k) non connessa,
in quanto un errore sulla fase (cioè lo scambio dei capi del
trasformatore di uscita alle placche e alle griglie schermo)
trasformerebbe l'amplificatore in un oscillatore di potenza.
Dopo il controllo si montano le KT88,
si mette un milliamperometro sulla portata 500 mA
in serie al capo centrale del trasformatore di uscita (il puntale
negativo del tester sul trasformatore, il puntale positivo scollegato),
si accende l'alimentazione con lo stand by aperto (cioè l'alta
tensione non ci deve essere), dopo un minuto, quando le KT88 sono ben
calde, si chiude l'interruttore dello stand by (sempre con il positivo
del tester scollegato, in modo che non arrivi corrente alle valvole), e
a questo punto si collega il puntale positivo del tester ai 580 V: la
corrente deve essere inferiore
ai 10 mA.
Se la corrente è superiore si scollega immediatamente il
puntale, si spegne lo stand by, quindi si spegne l'alimentazione
generale e si controllano tutti i collegamenti.
Tre precauzioni
assolutamente importanti:
Dovete essere
assolutamente sicuri dell'isolamento dei cavi del vostro
tester, che devono essere in condizioni perfette (i cavi di un tester
normale garantiscono, se nuovi, un isolamento di 1000 V)
il collegamento del puntale negativo al
centrale del trasformatore di
uscita deve essere stabile ed isolato (un paio di giri di nastro
isolante sono una precauzione indispensabile)
il tester deve essere posto su un
ripiano isolante e dovete tenere le mani lontane dal tester
Nel tester è presente una tensione di 580 V che proviene da un
alimentatore in grado di erogare circa mezzo Ampere, quindi qualsiasi
contatto accidentale è pericoloso e potenzialmente LETALE.
Se la corrente è corretta (minore di 10 mA) si stacca il puntale
positivo dai 580 V, si spegne lo stand by e si spegne l'alimentazione
generale, quindi si collega stabilmente il centrale del trasformatore
di uscita ai 580 V.
Altra precauzione importante:
prima di mettere le mani
sull'alimentatore dovete scaricare i condensatori di filtro
dell'alimentazione, che immagazzinano una quantità di carica
elevata a 580 V, a 350 V e a 110V.
Per fare ciò si usa una resistenza a filo da 10 kohm, 10 W
connessa a massa ad un capo (un coccodrillo saldato ad un capo ed
attaccato al telaio va benissimo) e connessa all'altro capo ad un altro
coccodrillo con guaina di isolamento impeccabile mediante un cavo per
alta tensione: non il normale cavo elettrico, che garantisce un
isolamento massimo di circa 600 V.
Il coccodrillo isolato si collega, facendo la massima attenzione a non
toccare nulla con le dita, ai condensatori di filtro, per un tempo
sufficiente a scaricarli: il tempo sufficiente a scaricarli
completamente è di alcuni minuti ciascuno, e prima di metterci
le mani è buona norma controllare le tensioni con il tester,
ripetendo il controllo dopo alcuni minuti.
Queste operazioni devono essere fatte con calma, a mente serena, senza
fretta e senza farsi prendere dalla “fregola” di vedere un
risultato.
La fretta non serve perché comunque prima di procedere alla
regolazione definitiva del bias le KT88 debbono essere rodate.
Quindi a questo punto, quando si è controllato tutto quanto
sopra, si riaccende l'alimentatore principale, si aspetta un minuto e
si accende lo stand by (cioè si alimentano le finali), quindi
con un tester in posizione 100 mV si misura la tensione ai capi delle
resistenze da 1 ohm sui catodi delle KT88: nelle condizioni attuali ci
debbono essere meno di 5 mV su entrambe, quindi con un cacciavite
isolato si gira lentamente il trimmer del bias della prima valvola fino
a che la tensione ai capi della resistenza da 1 ohm raggiunge i 15 mA
(che su 1 ohm significano 15 mA), quindi si ripete l'operazione sulla
seconda valvola.
E' consigliabile regolare le due
valvole una alla volta
alternativamente, un po' alla volta, arrivando prima a 10 mV su
entrambe, quindi dopo qualche minuto a 15 mV su entrambe.
A questo punto si lascia acceso il tutto per alcune ore, controllando
periodicamente la corrente.
Il rodaggio richiede almeno 8 ore, meglio se lo si fa a più riprese per
un totale di almeno 20 ore.
Anche se questa operazione si fa senza segnale, è opportuno
inserire un carico fittizio sull'uscita altoparlanti: deve essere una
resistenza da 8 (o anche 4 ohm) di potenza adeguata, che poi
servirà anche per i test a potenza massima.
Finito il rodaggio si controlla che le correnti sulle due valvole siano
uguali e pari a circa 15 mA; se necessario si aggiusta il bias e a
questo punto si passa alle misure finali.
Le misure
Premetto che, trattandosi di un amplificatore per strumenti musicali
non mi sono
curato di misurare la distorsione, ho solo controllato che la forma
d'onda all'oscilloscopio fosse ragionevolmente buona, e per la
qualità mi sono affidato all'orecchio (per la precisione, il
suono finale è come mi aspettavo, ma a qualche mio amico
musicista è apparso decisamente troppo “pulito”).
Le misure che mi interessava eseguire erano:
banda
passante senza e con controreazione
potenza massima
impedenza di uscita
Ho misurato la banda passante del finale ad 1 W e a circa 20W, su
carico resistivo, entrando con il generatore di segnale direttamente
dall'input del finale.
La banda passante senza NFB e senza compensazione di frequenza (il
condensatore da 100 pF fra le placche della 12AX7) è risultata
lineare entro circa 1 dB fra 40 Hz e 40 kHz, con un picco di alcuni dB
attorno ai 50 kHz, una risposta normale per uno stadio push-pull con
trasformatore di uscita.
La compensazione ottimale è risultata di 100 pF, che ha
abbattuto il picco a 50 kHz ed ha reso la risposta lineare fino a quasi
50 kHz (sempre senza NFB).
La compensazione ottimale è stata ottenuta per tentativi,
partendo da 47 pF; i tentativi sono stati fatti senza spegnere
l'amplificatore, quindi usando una cautela straordinaria per
posizionare il condensatore sulle placche usando una pinza isolata e
senza causare falsi contatti.
Con la NFB collegata la risposta è risultata lineare entro 1 dB fra
circa 30 Hz e quasi 48 kHz.
Il collegamento della NFB è stato fatto con l'amplificatore
acceso, collegando il cavetto proveniente dal secondario ad 8 ohm alla
resistenza da 47 kohm mediante una pinza isolata e tenendo d'occhio
l'oscilloscopio per verificare che il collegamento del cavo causasse
una diminuzione del segnale in uscita anziché un aumento o
l'insorgere di una oscillazione: nel caso ciò fosse successo
sarebbe stato immediato staccare il cavo.
Il risultato è decisamente positivo, e questo significa che il
trasformatore di uscita svolge egregiamente il suo compito: la mole del
trasformatore ha un ottimo effetto sulla risposta a bassa frequenza,
che dipende direttamente dalla quantità e dalla qualità
dell'acciaio del nucleo, mentre l'estensione verso l'alto indica che
gli avvolgimenti sono realizzati con cura.
D'altra parte anche con soli 15 mA di corrente di riposo non ci sono
segni visibili di distorsione di incrocio anche a 15 kHz, 1 W, ed anche
questo è un indice che il nucleo è di qualità
più che accettabile.
La misura della potenza massima è stata fatta su carico
resistivo, osservando la forma d'onda a 1 kHz all'oscilloscopio: si
aumenta il segnale del generatore e appena si intravvede un accenno di
clipping si determina la tensione picco picco (è un dato che
qualsiasi oscilloscopio, anche non particolarmente costoso, oggi
fornisce) e dalla tensione picco picco si determina la potenza massima.
La potenza massima misurata è risultata pari a circa 75 W, in
pieno accordo con la simulazione a MicroCap ed in pieno disaccordo con
le specifiche tecniche della KT88.
La valutazione del clipping è stata fatta a vista, non misurando
la tensione di uscita al raggiungimento del fatidico (o meglio,
previsto dagli standard) 1% di THD, ma una differenza di 25 W è
un po' eccessiva e non può essere dovuta ad una imprecisione di
misura: evidentemente almeno sotto questo aspetto i parametri tecnici
sono più “ottimisti” di MicroCap (o, per essere
positivi, la simulazione con MicroCap è ragionevolmente
affidabile).
Per concludere, l'impedenza di uscita, che ho calcolato misurando la
tensione di uscita su una resistenza di carico da 8,2 ohm e poi, senza
variare il segnale di ingresso, su una resistenza da 12,3 ohm.
Questi valori “strani” dipendono dal
fatto che il carico
usato per questa misura è stato realizzato con 6 resistenze a
filo ceramiche da 8,2 ohm, 10 W ed un commutatore.
Le resistenze sono collegate in
serie-parallelo di quattro resistenze
per ottenere 8,2 ohm, 40 W, con in serie un parallelo di due
resistenze, che danno una resistenza da 4,1 ohm, 20 W che può
essere cortocircuitata con il commutatore.
Le resistenze sono fissate ad un
profilato di alluminio ad U con
interposta pasta termica fra le resistenze e l'alluminio, in modo da
aumentare la potenza dissipabile; il carico fittizio
è stato realizzato apposta per queste misure.
La precisione del valore, per questo
tipo di misura, è
irrilevante, mentre la possibilità di passare immediatamente da
un carico di 8,2 ohm ad un valore di 12,3 semplicemente spostando una
levetta accelera enormemente la misura, che può essere ripetuta
varie volte senza dover scollegare il carico, cosa sconsigliabile con
un amplificatore a valvole con trasformatore di uscita.
E' per questa ragione che ho usato due valori di resistenza così
vicini: con un amplificatore a stato solido è molto più
immediato fare una misura con carico ed una senza, mentre con un
valvolare ciò non è possibile, in quanto il funzionamento
senza carico può non dare risultati affidabili e soprattutto
danneggiare l'amplificatore.
Questa misura, per essere effettuata con una ragionevole
attendibilità richiede molto tempo, in quanto la misura deve
essere ripetuta varie volte ed è stata effettuata a frequenze
diverse: 100 Hz e 1000Hz, ed a potenze diverse: 0,1 W, 1 W e 10W.
Il calcolo si basa sul modello semplice che
considera
l'amplificatore reale (con una impedenza di uscita non nulla)
costituito da un amplificatore ideale Gi con impedenza di uscita nulla
e tensione di uscita Vi collegato al carico Rl mediante una
resistenza Zo, che costituisce l'impedenza di uscita e che è il
valore che dobbiamo calcolare.
Quindi la tensione all'uscita
dell'amplificatore ideale è
costante e determiniamo il valore dell'incognita, cioè
l'impedenza di uscita, misurando la tensione Vo risultante, che
è quella che troviamo ai morsetti del carico, ai capi di due
resistenze di valore diverso: è un a banale applicazione della
legge di Ohm ad una equazione di primo grado con una incognita.
Per questo calcolo è più che
sufficiente calcolare il valore resistivo dell'impedenza.
I risultati sono riassunti nella seguente tabella:
a 100 Hz
1000 Hz
a 0,1 W 7,8
ohm
7,5 ohm
a 1 W 7,2
ohm
7,2 ohm
a 10 W 5,5
ohm
5,5 ohm
Un po' peggio della simulazione, ma non tanto peggio.
La cosa che giudico interessante è che l'impedenza di uscita
dipende più dalla potenza di uscita che dalla frequenza: tutto
sommato una impedenza di uscita che cala con il crescere della potenza
si accompagna bene con l'aumento del Qts con il crescere della potenza.
In un altoparlante normale questo effetto è dovuto alla diminuzione
della cedevolezza con l'aumento dell'escursione.
La cosa merita uno studio più approfondito, e non solo uno
studio ma anche qualche misura (uno studio senza misure a che
servirebbe?), per il momento mi accontento, il risultato è
abbastanza in linea con le specifiche di progetto.
Conclusioni
Speravo in un po' di potenza in più, ma le misure non mentono.
Certo, se dichiarassi la potenza misurata in overdrive spinto, cosa che
con un valvolare si può fare in quanto il clipping è ben
lontano dall'effetto “fresa del dentista” del clipping di
un amplificatore a stato solido, i 100 W ci starebbero tutti, ma non mi
piace barare.
(potete interpretare questa dichiarazione esattamente come volete,
c'è qualche costruttore che io reputo serio che dichiara 165 W
da due coppie di KT88, altri che misurano la potenza secondo standard
non industriali).
In compenso l'alimentatore è ben dimensionato e non si
“siede”, nei limiti di un 75 W (veri) la dinamica
c'è; ovviamente non è paragonabile ad uno stato solido da
1000 W, ma nemmeno il suono lo è.
Il suono con questa circuitazione è decisamente molto pulito
(è un amplificatore per chitarra e basso), per qualcuno
decisamente troppo; non è un SVT-CL o un JCM800 Lead e
può non piacere.
Se stiamo nell'ambito del basso non va bene per tutte le casse: con la
maggior parte delle casse reflex, che sono sistematicamente progettate
per amplificatore a stato solido, sono certo che non esca un basso
perfettamente definito, come piace a me.
Non ho ancora fatto test con questo amplificatore e altre casse reflex
oltre alla mia, ma ho esperienza di altri valvolari collegati a casse
reflex di eccellente qualità.
Quindi il prossimo passo è una cassa chiusa, un baffle infinito
con altoparlanti con Qts basso e calcolate per questa impedenza di
uscita: fra qualche mese (non so quanti) su queste pagine.
La costruzione è impegnativa, il peso notevole (circa 25 kg),
l'ingombro pure (ma un JCM800 è decisamente più
ingombrante), con lo stesso peso e metà ingombro viene uno stato
solido da almeno 500 W; il valvolare
è una filosofia (qualche
maligno dice “feticismo”) o, a seconda dei punti di
vista,un suono inimitabile.
Se si vuole raddoppiare la potenza si deve:
adottare un'altra coppia
di KT88 da mettere in parallelo alla prima (ogni valvola con la sua
resistenza di catodo da 1 ohm
allargare il telaio di 6 cm e
avvicinare fra loro le KT88, mettendole
in fila, oppure fare un telaio più profondo di 5 cm e mettere le
KT88 su due file, possibilmente non sui vertici di un rettangolo ma di
un rombo, ed assicurarsi che ci sia sufficiente ventilazione
potenziare il secondario di
alimentazione delle finali (420 V, 800 mA)
trovare un trasformatore di uscita UL
43%, impedenza p-p 2200 ohm (anche 2000 o 1900 vanno bene)
Un consiglio, non per spaventare gli interessati ma per indirizzare i
principianti: non è un progetto facile, non avventuratevi nella
costruzione di un push pull valvolare se è il vostro primo
progetto, non ho volutamente approfondito molti dettagli costruttivi
(ad esempio non ho specificato le tensioni presenti sui vari punti del
circuito) perché chi è in grado di affrontare questo
progetto non ne ha bisogno; e
comunque attenzione ai 580 V.
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